Berlusconi dimettiti

giovedì 17 marzo 2011

Italia unita alle radici della nostra democrazia



Bersani su l'Unità: "Guida del Paese affidata a quanti di quella svolta storica contestano natura e sbocco. Noi vogliamo restituire speranza e fiducia"

Bersani personalizza per i 150 anni la foto profilo di facebook  Metti il logo PD per i 150 anni dell'unità d'Italia sul tuo profilo. Fallo anche tu con www.mobilitanti.it
L’anniversario è di tutti, o dovrebbe esserlo. Cominciamo col dire questo. Lo si capirà bene oggi pomeriggio, nell’Aula della Camera, quando il Parlamento in seduta comune ascolterà le parole solenni di Giorgio Napolitano, capo dello Stato e mai come oggi vero garante del patto costituzionale e repubblicano. Ma gli anniversari parlano. Raccontano sempre del clima del paese e dello spirito di un popolo.
Fu così un secolo fa, quando i primi cinquant’anni del Regno scontarono la polemica di cattolici, socialisti e repubblicani. E mezzo secolo dopo, a ridosso del boom, con una retorica soppiantata dalla celebrazione di un’epopea diversa, tutta interna al carattere bloccato della nostra democrazia. Erano, quelle di allora, contrapposizioni profonde, ideologiche e per fortuna archiviate. Ma oggi? Su cosa si fonda oggi la celebrazione di una unità che tutti dovrebbero avere compreso e assimilato? Nel bene e nel male l’Italia liberale, e ancora di più quella repubblicana, hanno inteso la patria come coscienza di un passato vissuto, ma soprattutto come la proiezione di un futuro comune. Possiamo dire lo stesso anche noi? Tutti noi? Perché poi si può discutere se il nostro Risorgimento sia stato effettivamente quell’evento fondativo che fu la “grande Rivoluzione” per la Francia o la Riforma per la Germania. Ma certo fa riflettere l’idea che nel 150° della nostra unificazione la guida del paese sia affidata a quanti di quella svolta storica contestano la natura e lo sbocco. Ed è tanto più preoccupante vedere come un tale sentimento, neppure represso, attraversi l’azione del governo e i suoi messaggi di fondo.
Peccato. Lo diciamo con la sensibilità e la responsabilità di un grande partito nazionale. Peccato che una parte della classe dirigente non abbia colto la portata morale e il valore simbolico del traguardo che raggiungiamo oggi. Come ha scritto Emilio Gentile, all’origine di quell’espressione – risorgere – vi era la spinta ad affrancarsi da una degradazione civile, individuale e collettiva. Più ancora che un progetto di integrazione dei territori si manifestava l’ansia di “conferire agli italiani una dignità di cittadini”. Una novità, e in fondo la più profonda delle rivoluzioni. L’antica nazione culturale affrontava la prova decisiva della sua unità spirituale e politica. Furono vicende drammatiche. Passaggi dolorosi, ma infine fu l’avvio di una parabola storica assolutamente unica che, alternando grandezza e tragedie, si è proiettata sino a noi.
Ecco perché c’è qualcosa di imponente non già nella data e non solo nell’anniversario in sé, ma nelle radici di ciò che oggi lo Stato e il popolo italiani sono chiamati a celebrare. Dietro e dentro la ricorrenza c’è l’Italia che ha combattuto per la propria dignità. Ci sono le radici della nostra democrazia. Di una Repubblica sorta sull’onda di una guerra di Liberazione. Vi sono il primo e il secondo Risorgimento. Con le biografie – le immense biografie – di una nazione che ha segnato del proprio destino il destino dell’Europa tutta. Di questo stiamo parlando. Eppure il tempo alle nostre spalle sembra aver incrinato proprio quelle premesse, al punto che la stessa unità del paese ad alcuni non pare più un sacro principio da difendere. E per la prima volta una secessione degli animi vorrebbe anticiparne altre, nelle regole, nei principi, nella forma stessa dello Stato.
La destra su questo ha fondato il suo lavorio. Ha negato legittimazione agli avversari e spinto per dissolvere i fattori coesivi. Un’opera tutt’altro che rozza che è transitata dal modo di concepire materie sensibili, il patto fiscale, la sicurezza, le identità dei territori. Da lì, a scendere, lo sfregio delle regole, un Parlamento svuotato di funzioni fino alle conflittualità esasperate verso le istituzioni di garanzia. Hanno cercato di rompere la struttura del paese con un racconto dell’Italia dove via via evaporava l’intera nostra storia e tradizione democratica.
A tutto questo noi, in questi mesi, ci siamo opposti e continueremo a farlo. Ma con la stessa determinazione diciamo che siamo i primi a voler fondare una nuova unità dello Stato e un nuovo patto repubblicano che sia finalmente all’origine di una patria comune e di una coscienza civile capace di rispettare sempre le differenze di giudizio e di pensiero ma in una identità democratica condivisa. A partire, ovviamente, da un federalismo che unisce e non divide, coinvolgendo tutte le parti del paese, nessuna esclusa. La nostra sfida è saldare il destino dell’Italia a una nuova Europa e a un mondo nuovo. Un mondo dove molto, forse tutto, è destinato a cambiare. E allora la vera domanda per noi non è cosa siamo stati, ma cosa saremo. Quale paese lasceremo a chi verrà dopo.
L’Italia liberale affidò il compito di formare un “carattere italiano” all’esercito e alla scuola. Il fascismo volle militarizzare la questione. La Repubblica visse tra chiese divise e doppie lealtà, ma in fondo trovando nei partiti di massa la spinta per una modernizzazione epocale, seppure depennata da sintomi patriottici, poiché il mito nazionale fu presto soggiogato al primato delle ideologie. La forza del nostro tempo – la speranza di questo 150° - è nella possibilità di combinare in forme nuove democrazia, cittadinanza e un’etica pubblica rigenerata.
Ce la possiamo fare. Davvero. Ce lo dicono le piazze che in questi mesi si sono riempite di giovani, donne, lavoratori. Ce la possiamo fare se contrasteremo quello che Baudelaire, col senno del suo tempo, aveva chiamato “l’avvilimento dei cuori”. Ci si avvilisce quando si scopre di essere privi di difese. Esposti al ricatto del più forte. O quando si è convinti di non avere un tempo davanti, ma solo il peso gravoso di molte eredità. Il Partito Democratico è nato per fare l’opposto. Noi siamo nati per restituire speranza, coraggio e fiducia a un paese che lo merita. E anche per questo oggi esporremo il tricolore fuori dalla finestra di casa.

domenica 6 marzo 2011

A difesa della Costituzione. Se non ora, quando?



Di fronte ad un Presidente del Consiglio che dice “questa volta nessuno mi potrà fermare”, usando tono e parole da resa dei conti più adeguati ad un film d’azione degli anni ’80 (un brutto film, tra l’altro) che ad un civile dibattito istituzionale, le possibilità sono poche.
Una è pensare che abbia ragione, che faccia bene, che questo piglio deciso possa cambiare in meglio il paese. Chi pensa ciò, è pregato di uscire ora di casa, e di guardare quel pezzettino d’Italia che gli sta attorno. Vede un paese sereno, speranzoso, che guarda con ottimismo e fiducia al domani? Se sì, allora credo sinceramente che faccia bene a stare lì dove si trova, a lasciare che il Presidente del Consiglio vada avanti pretendendo che nessuno lo fermi. Stia lì, per favore, perché se sta lì forse farà meno danni.
Chi invece vede un paese stanco, stremato, impaludato in una crisi economica e, soprattutto sociale, forse dentro di sé sente di voler fare qualcosa, qualcosa che serva, ma non sapendo bene cosa fare, esita. Oppure discute, cerca di capire, si confronta: sta fermo, però dialoga con chi gli sta attorno tentando di trovare una soluzione. Entrambi gli atteggiamenti hanno una cosa in comune, però: si resta fermi mentre chi dice “questa volta nessuno mi potrà fermare” va per la sua strada, con al seguito i servitori che è riuscito ad arruolare o quei cittadini che, bontà loro, sono convinti che faccia bene.
Noi non pensiamo che un Presidente del Consiglio che dice “questa volta nessuno mi potrà fermare” abbia ragione. Noi pensiamo, con tutte le umane imperfezioni delle nostre parole e dei nostri intenti, con tutta la confusione, l’incertezza, le contraddizioni, le paure del caso, che un discorso del genere sia eversivo.
Eversivo perché quel “nessuno” comprende pezzi di istituzioni come Corte Costituzionale, Consiglio Superiore della Magistratura, Parlamento, Presidenza della Repubblica; comprende pezzi del paese come l’Università, le redazioni dei giornali, i blogger, i teatri. E queste cose non sono “nessuno”: sono ciò che contribuisce a rendere l’Italia una democrazia. E, quando si parla di istituzione, bisogna ricordare che sono ben più importanti delle persone che le rappresentano. Sono edifici i cui inquilini cambiano periodicamente, magari dimostrandosi non all’altezza, ma le fondamenta di questi edifici devono essere maneggiate con estrema cautela: di sicuro non possono essere trattate come un ostacolo dai rappresentanti di altre istituzioni.
Ogni volta che ciò succede esse vacillano, e ogni volta si rischia un crollo. E in Italia, negli ultimi vent’anni, esse hanno vacillato di continuo, tanto che ormai molti pensano che sia normale. Invece non lo è, non lo è mai. Non è con questo spirito che sono state erette. È per questo che abbiamo deciso di mobilitarci.
Noi, i nostri dubbi, le nostre paure, ma anche le nostre speranze, la nostra sofferta aspirazione ad un paese in cui il domani non sia un orizzonte carico di angoscia e l’oggi una cappa asfissiante. Noi, gli errori che probabilmente commetteremo, ma che ci daranno la possibilità, affrontandoli strada facendo, di diventare persone migliori.
Si può pensare che le manifestazioni non servano, che non serva mobilitarsi, perché manifestare, protestare sono altra cosa rispetto alla politica. Ditelo agli egiziani. Ditelo ai tunisini, agli albanesi. Ditelo a chi è dovuto arrivare alla disperazione più nera e totale, prima di trovare la forza di superare le divisioni, le perplessità e i dubbi, peraltro legittimi, anzi. Perché non si tratta, ora, di stare dalla parte giusta, di capire chi sono i buoni e chi i cattivi, come se esistesse una linea netta che li separa. Si tratta, più semplicemente, di immaginarci da qui a venti, trent’anni, e di immaginare quale Italia vorremo raccontare ai nostri figli e ai nostri nipoti, e di pensare a che cosa risponderemo quando ci verrà chiesto “tu dov’eri?”, “che cosa facevi?”.
Matteo Pascoletti – Valigia Blu





domenica 27 febbraio 2011

LENOLA: AMMINISTRAZIONE AL BIVIO!

L'Amministrazione De Filippis è finita da tempo! E' questo i cittadini l'hanno capito bene. Ora questo fallimento viene certificato da un volantino del Partito della Libertà che, dall'interno della Maggioranza, attacca duramente l'Amministrazione!

Ormai, visto il disastroso esito di questa Amministrazione, fanno a gara a chi scappa via prima!
E' la solita resa dei conti all'interno del Centro Destra che inizia quando mancano due anni alle elezioni.
Oggi anche i consiglieri di maggioranza si rendono conto di quello che diciamo da anni:
l'Amministrazione è latitante, hanno sprecato le poche risorse a disposizione, non hanno in mente nessun progetto per Lenola, il nostro Paese è fermo, ormai da 8 anni.

Si parla di aumentare le tasse locali?
Ma per fare che cosa? Per continuare a buttare soldi? Per continuare a tenere chiuso il Miracolle pur a fronte di una offerta di 64.800,00 euro l'anno? Chi ci ha guadagnato da questa vicenda?
O bisogna aumentare le tasse per poter continuare a pagare il mutuo (80.000,00 euro) fatto per l'acquisto di un terreno di cui non c'era (e non c'è) alcun bisogno? O c'è bisogno di soldi per pagare più di 60.000,00 euro agli avvocati dell'allora sindaco G.Guglietta e Arch.Marchetti, assolti per la questione del depuratore? Una vergognosa vicenda strumentalizzata dagli attuali amministratori quando erano in minoranza.

Lenola non ha bisogno di nuove tasse ma di nuove idee e di nuovi amministratori. Gli attuali hanno fatto la loro storia. Guardateli, è ormai una vita che fanno finta di amministrare. Sarebbe opportuno che il Sindaco e la maggioranza prendessero atto della spaccatura al loro interno che ormai dura da troppo tempo e, dimettendosi, restituissero la parola agli elettori poiché, il perpetuarsi di questa situazione sta causando un grave danno al nostro Paese. In questa situazione anche la buona volontà di qualche intraprendente amministratore non è sufficiente a colmare il vuoto tra quello che c'è oggi e ciò  di cui Lenola ha bisogno. Siamo consapevoli che, purtroppo, resteranno attaccati alla loro poltrona e Lenola avrà davanti ancora per due anni l'Amministrazione del nulla.

I prossimi due anni li passeranno a litigare e a prepararsi per le prossime elezioni.
Sappiano fin da ora che noi non parteciperemo al loro gioco. Sappiano che nessuna delle forze politiche dell'attuale maggioranza potrà sperare nel nostro appoggio tra due anni.
Il Partito Democratico si prepara ad offrire ai lenolesi una proposta di governo, condivisa nell'ambito delle forze del centro-sinistra ed aperta alla società civile, sapendo di poter contare su persone in possesso delle qualità necessarie ad amministrare Lenola, garantendo modernità, onestà ed efficienza.

Chiediamo a tutti quelli che hanno a cuore il bene della cosa pubblica, di partecipare a questo progetto di cambiamento, consapevoli della urgenza di una svolta generazionale. Perchè le sfide del futuro (a cominciare dal federalismo municipale) sono impegnative e c'è bisogno di donne (si di donne) e di uomini che si impegnino per Lenola e non per le personali carriere politiche, senza subire i condizionamenti degli organi di partito a livello provinciale (siano essi Cusani, Fazzone o Michele Forte, poco importa).

Noi  ci candidiamo a guidare questo cambiamento ma offriremo a tutti la possibilità di farlo, attraverso le elezioni primarie per la scelta del candidato Sindaco a cui potranno partecipare tutti coloro che condividono il programma ed il progetto.

                                                                                                   

sabato 19 febbraio 2011

Bersani alla Conferenza Nazionale delle Donne Democratiche

"Le donne devono prendere il Pd per mano e condurlo verso nuove frontiere culturali e di civiltà". Prossimo appuntamento l'8 marzo, a Palazzo Chigi, per consegnare le firme raccolte dal Pd.


Il Segretario del Pd, Pier Luigi Bersani ha concluso i lavori della prima Conferenza Nazionale delle Donne Democratiche, svoltasi a Roma, dando appuntamento a tutte le democratiche ed i democratici l’8 marzo davanti Palazzo Chigi, dove consegnarà le firme raccolte in tutta Italia, per chiedere le dimissioni del premier. Conferenza che ha eletto all’unanimità Roberta Agostini come portavoce nazionale della donne del Pd. 

L’intervento del Segretario è stato molto apprezzato ed ha gettato le basi per una proficua interazione tra il Partito e questo nuovo organismo che dovrà raccogliere le istanze delle donne democratiche elaborate nei territori e renderle propositive per sensibilizzare la politica del Pd. E Bersani, che ha partecipato ‘in punta di piedi’ alla due giorni di lavori della Conferenza si è impegnato ad accogliere queste proposte e a trasferirle nell’agenda del Partito, come parte integrante del programma politico.

Bersani ha molto apprezzato ‘la discussione bella, aperta, libera e forte’ svoltasi durante i dibatti, ed ha ribadito che ‘il Partito democratico è il solo Partito nel Paese ad essere in grado di lavorare in maniera così proficua’. E per questo ha ringraziato tutte le donne che si sono impegnate ed hanno creduto in questo progetto. “Anche io ho creduto in questo percorso e nella capacità di creare un luogo estroverso, capace di prendere il Pd per la mano e portarlo dove spesso fa fatica ad andare, verso nuove frontiere culturali e di civilizzazione. C’è freschezza ed entusiasmo - ha detto il Segretario – che dobbiamo collegare alle altre energie che circolano nel Paese per fare un passo avanti. E la manifestazioni entusiasmanti del 13 febbraio, ci hanno dato l’idea che le donne vogliono il cambiamento e si affermano le protagoniste del cambiamento”.

Il Segretario ha ricordato che nel ‘900, secolo dove la regressione della umanità è stata drammatica, “l’elemento di civilizzazione è stato proprio il movimento di emancipazione delle donna. La presa di coscienza delle donne sui grandi temi civili quali l’aborto, il divorzio, ha sostenuto un moto di avanzamento politico delle forze progressiste ed anche l’introduzione di una nuova agenda economica. L’avanzamento della rete dei servizi è avvenuta proprio grazie a quell’onda. Quindi il Pd accetta di misurare il cambiamento dallo stato della condizione della donna, come sfida per un nuovo progetto che guardi oltre”. 

Bersani ha poi parlato della profonda e permanente crisi economica del nostro Paese, che ci vede ‘pagare il doppio e correre per meno della metà’. E l’ha descritto come un ‘processo di scivolamento intimamente connesso tra la questione sociale e la questione democratica. E proprio su questo nesso nasce la vittoria delle forze di destra, vittoria che Berlusconi ha esercitato con un meccanismo populista e plebiscitario. Infatti le forze di destra negli altri Paesi europei, anche in Svezia, ci sono, ma sono fuori dal governo, solo da noi hanno preso il comando. Il tema del berlusconismo è proprio questo’. 
“Abbiamo un pezzo di classe dirigente che balla sul titanic della nostra democrazia - ha detto Bersani -. Per questo bisogna organizzare una convergenza tra forze progressiste ma anche tra politica e società civica. È un darsi la mano, assumendosi delle responsabilità reciprocamente. Ancora è un equilibrio fragile e voi come donne democratiche dovete prefigurare un Partito che trovi proprio questo punto di equilibrio”. 

Il Segretario democratico ha descritto la precaria ed imbarazzante situazione del governo Berlusconi, ‘retto da una maggioranza subordinata ad una persona sola, concepita come salvacondotto. Una persona che non è in grado di svolgere una funzione pubblica’. 
Ha sottolineato Bersani: “I nostri padri hanno scritto nella Costituzione, che disciplina ed onore sono dei prerequisiti necessari per governare, non perché si occupavano di reati o peccati, dei quali se ne devono occupare gli inquirenti o la Chiesa, ma perché pensavano che senza disciplina ed onore non si può esercitare la funzione pubblica”. 

Bersani ha poi chiarito come i problemi economici del nostro Paese siano accentuati dalla scarsa credibilità che l’Italia si è conquistata a causa di questa malsana commistione tra funzione pubblica e personale del premier. “Saremo e siamo in tutti i carnevali del mondo –ha ribadito - altro che investimenti esteri in Italia! Dobbiamo prendere l’acqua col cucchiaino mentre c’è uno che la butta via col secchio! Mentre ridono di noi ne approfittano ed occupano gli spazi vuoti che lasciamo noi. Abbiamo problemi enormi nel Mezzogiorno, l’illegalità dilaga a causa della crisi, c’è disoccupazione, precariato, ma non si discute di nulla in Parlamento. Al Consiglio dei Ministri solo aria fritta”.

E Bersani ha denunciato la grave staticità del governo che sta rovinando il Paese, e come la Maggioranza usi in modo insultante problemi reali come un diversivo, a pretesto per non parlare di Ruby. “In questo contesto non è più questione di destra, di sinistra o di centro, ma di dignità e chi tace oggi non so come parlerà domani”. 
Anche la finta morale usata dalla Maggioranza che si nasconde dietro la tutela della ‘privacy’ è denunciata da Bersani. “Essere processati per direttissima è fatto privato? La ricattabilità del presidente del consiglio è un fatto privato? Se viene fuori che ha dato 185000 euro in due mesi ad una minorenne è un fatto privato? Io non voglio essere governato da uno così”, ha ribadito Bersani, tra gli applausi delle donne democratiche inorridite che gridavano “Vergogna”! 

La cosa grave che ha rilevato il Segretario del Pd da questa triste vicenda è che ‘si sta diffondendo l’idea che la mercificazione delle donne sia la disposizione della libertà del premier. Addirittura in riferimento ad una persona alla quale in quanto minorenne la legge non dà disponibilità di sè. “Si sentono liberali, ma insultano una nobile parola oltre che le donne stesse –ha detto Bersani -. Anche dalle piazze domenica scorsa i cittadini hanno detto che non accettano più questi atteggiamenti. Eppure i ministri non hanno aperto una riflessione critica da queste richieste”.

“Ma dalla vicenda amara del nostro Paese, possiamo ricavare qualcosa di buono solo continuando la battaglia civile nata nelle piazze –ha detto Bersani -. L’8 marzo consegneremo a Palazzo Chigi le firme raccolte in tutta Italia per richiedere le dimissioni del Premier e da lì lanceremo un ponte verso il 17 marzo, per ribadire l’importanza di festeggiare l’Unità di Italia. Voglio ringraziare Roberto Benigni perché ha dato una traccia importante su questa ricorrenza, dobbiamo risvegliaci verso una riscossa italiana”.

Bersani ha poi profilato il progetto di rinnovamento del Paese che il Partito democratico sta delineando. ‘Partito che deve essere originale ma senza venir meno alla funzione di sintesi. Perché è necessario un elemento di unificazione che dia stabilità’. “Noi abbiamo dei difettucci in questo e dobbiamo correggerli –ha dichiarato – ma siamo a buon punto e stiamo lavorando per una riforma repubblicana, non intesa solo ai piani alti istituzionali ma che abbia dentro il calore di una risposta civica. Temi che si chiamano legalità e diritti devono essere la nostra battaglia, saldata però ad una risposta concreta”. 

Per risposta concreta Bersani intende che ‘se si dice che si vuole arrivare in Italia alla media europea di occupazione femminile, che è pari al 60%, si deve allargare la base occupazionale secondo criteri di produttività. Ovvero: attaccare la disoccupazione giovanile, avere dei servizi migliori, incentivare le imprese, in sintesi dare impulso alla democrazia. Perché dove le donne lavorano, nascono più bambini e il Paese cresce’.

A termine del suo intervento alla Conferenza nazionale delle Donne Democratiche, il Segretario ha elencato in tre punti focali, quelle che saranno le priorità per il Partito emerse dal dibattito e dal lungo lavoro delle donne nel territorio. E su questi punti Bersani chiede che ci sia un dialogo continuo ed un interscambio tra Conferenza delle Donne e Pd nella sua interezza.

Primo punto: le donne devono stare nei luoghi di decisione, nella vita pubblica e nell’economia, perché in Italia solo il 6,8% di donne sono presenti nei consigli di amministrazione. Ma senza le quote rosa nei vari organismi e non solo nel Pd, questo non è possibile. Dobbiamo pretendere che anche il governo nazionale sia composto per metà da uomini e metà da donne. Noi come Pd assumeremo questo impegno, porteremo avanti questa battaglia. 

Secondo: il tema dell’eguaglianza dei diritti e della funzione sociale della donna e dell’uomo. Il lavoro domestico ad esempio nel nostro Paese è svolto quasi solo dalle donne e bisogna riflettere su questo punto, come sul congedo parentale maschile.

La terza questione: i servizi. La sfida sul federalismo è proprio su questi temi. Bisogna portare le risorse verso il tema dei servizi sociali, come chiave fondamentale per il sud ma che riguarda da qualche anno anche il nord del Paese. 

Il Segretario ha concluso con una frase che all’apparenza potrebbe apparire criptica ma che in realtà ben descrive questo momento buio che il Paese attraversa. Ha detto: “Più c’è la crisi più c’è bisogno di qualcosa di immateriale”. E questo ad indicare che il Partito deve anche saper emozionare, perché il distacco tra la politica e la società è arrivato a dei livelli inediti. “Quando diciamo che dobbiamo andare oltre -ha detto con enfasi il Segretario – significa che dobbiamo essere in grado anche di emozionare, di proporre un sogno, che abbia le gambe però. E i valori a cui ci riferiamo sono molto antichi, quelli dell’onestà, sobrietà, rigore solidarietà. Una politica pulita e la concretezza dei progetti e voi donne mi insegnate che la presenza femminile è un valore aggiunto che dobbiamo apprezzare. C’è un senso di riscossa morale e civica e voi donne ne siete protagoniste”.

domenica 6 febbraio 2011

Il Partito Democratico Lenola con le donne il 13 febbraio


Domenica 13 febbraio giornata nazionale di mobilitazione delle donne

"Se non ora, quando? 
In Italia la maggioranza delle donne lavora fuori o dentro casa, crea ricchezza, cerca un lavoro (e una su due non ci riesce), studia, si sacrifica per affermarsi nella professione che si è scelta, si prende cura delle relazioni affettive e familiari, occupandosi di figli, mariti, genitori anziani.
Tante sono impegnate nella vita pubblica, in tutti i partiti, nei sindacati, nelle imprese, nelle associazioni e nel volontariato allo scopo di rendere più civile, più ricca e accogliente la società in cui vivono. Hanno considerazione e rispetto di sé, della libertà e della dignità femminile ottenute con il contributo di tante generazioni di donne che - va ricordato nel 150esimo dell’unità d’Italia - hanno costruito la nazione democratica.
Questa ricca e varia esperienza di vita è cancellata dalla ripetuta, indecente, ostentata rappresentazione delle donne come nudo oggetto di scambio sessuale, offerta da giornali, televisioni, pubblicità. E ciò non è più tollerabile.
Una cultura diffusa propone alle giovani generazioni di raggiungere mete scintillanti e facili guadagni offrendo bellezza e intelligenza al potente di turno, disposto a sua volta a scambiarle con risorse e ruoli pubblici.
Questa mentalità e i comportamenti che ne derivano stanno inquinando la convivenza sociale e l’immagine in cui dovrebbe rispecchiarsi la coscienza civile, etica e religiosa della nazione.
Così, senza quasi rendercene conto, abbiamo superato la soglia della decenza.
Il modello di relazione tra donne e uomini, ostentato da una delle massime cariche dello Stato, incide profondamente negli stili di vita e nella cultura nazionale, legittimando comportamenti lesivi della dignità delle donne e delle istituzioni.
Chi vuole continuare a tacere, sostenere, giustificare, ridurre a vicende private il presente stato di cose, lo faccia assumendosene la pesante responsabilità, anche di fronte alla comunità internazionale.
Noi chiediamo a tutte le donne, senza alcuna distinzione, di difendere il valore della loro, della nostra dignità e diciamo agli uomini: se non ora, quando? è il tempo di dimostrare amicizia verso le donne". 



ROMA 13 FEBBRAIO 2011 ORE 14.00 PIAZZA DEL POPOLO


ANCHE DA LENOLA PARTIRA' UN PULMAN DOMENICA MATTINA
ORE 11.00 PIAZZA PANDOZY
Per info: (Lorenza Cairo) 3475059209

sabato 5 febbraio 2011

BERLUSCONI DIMETTITI

Presidente Berlusconi,
lei ha disonorato l'Italia, non ha più credibilità
e ha smesso di governare: SI DIMETTA.
L'Italia ha bisogno di guardare oltre,
per ottenere crescita, lavoro, un fisco giusto,
una scuola che funzioni, una democrazia sana.
L'Italia ce la può fare, ha energie e risorse positive.
E' ora di unire tutti coloro che vogliono cambiare
IL PARTITO DEMOCRATICO LENOLA SARÁ PRESENTE IN PIAZZA CAVOUR PER RACCOGLIERE LE FIRME NEI GIORNI:
-DOMENICA 06/02/2011 dalle ore 10:00 alle ore
12:30
-MARTEDI 08/02/2011 dalle ore 09:00 alle ore
12:00
-DOMENICA 13/02/2011 dalle ore 10:00 alle ore
12:30

INOLTRE SARÁ PRESENTE PRESSO LA PIAZZA DI VALLEBERNARDO IL GIORNO:
-DOMENICA 13/02/2011 dalle ore 16:00 alle ore
18:00


giovedì 6 gennaio 2011

Per l'Italia un decennio perduto


Calati i redditi e il potere d’acquisto. Le famiglie si sono impoverite e nel tasso di crescita siamo davanti solo ad Haiti. Solo pochi continuano ad arricchirsi e uno in particolare.

La crisi c’è stata e ha colpito tutti. Se questa è una certezza che ci accompagnerà anche con l’arrivo dell’anno nuovo, resta ancora una domanda a cui occorre dare risposta: da quanto tempo c’è la crisi? 

A seconda dell’interlocutore politico la risposta varia di parecchio. Per la maggioranza la crisi è legata alla congiuntura economica mondiale e ha investito l’Italia solo nell’ultimi due anni. Anzi, per loro solo per loro, siamo già fuori dalla crisi e molto meglio di altri Paesi che stanno ancora soffrendo(?!). Per Silvio Berlusconi la crisi non c’è mai stata: sono solo invenzioni della stampa e del Pd che si ostinano a dimostrare ciò che per lui (solo lui) non è mai accaduto. E in parte ha anche ragione perché Berlusconi è l’unico italiano, insieme ad una cricca di avidi speculatori, che ha visto accrescere il proprio impero economico e finanziario senza interruzioni.

Ma i numeri parlano di un’altra realtà. Un’Italia che arranca e intorpidita dal bromuro del “ghe pensi mì” continua a rigirarsi tra le coperte senza nessun interesse a svegliarsi. E sono quegli stessi dati che da poco sono stati confermati dall’ultimo rapporto dell’Istat sulla “Distribuzione del reddito e le condizioni di vita in Italia”: la crisi non è affatto superata e ci blocca da dieci anni!
Come ha detto Pier Luigi Bersani nella conferenza stampa di fine anno sono stati “10 anni del nuovo secolo caratterizzati per la democrazia personalizzata e che ci han fatto precipitare in tutte le classifiche, che riguardano la vita reale degli italiani. Com’è che abbiamo perso posti nei redditi, nel pil procapite, siamo appena davanti a Malta nell’occupazione femminile, al penultimo posto per la giovanile e che per il tasso di crescita siamo davanti solo ad Haiti? Com’è che la fedeltà fiscale è calata e i redditi non salgono?”

Le famiglie si sono progressivamente impoverite e le loro difficoltà non si sono allentate affatto si visto che in media saranno costrette a spendere in media circa 1000 euro in più per il 2011 per i rincari che vanno dai trasporti e alla benzina. Di contro pochi continueranno ad arricchirsi aumentando il divario che esiste tra ricchi (sempre di meno nel numero ma sempre più ricchi) e poveri (sempre di più).

Il reddito netto medio delle famiglie Italiane è sceso, in termini reali, del 2,1%, dato l’aumento dell’inflazione che nel 2008 è cresciuta del 3,2%. Il potere d’acquisto di operai e impiegati è crollato e dal 2000 hanno perso 5500 euro a fronte di un aumento di 6000 euro per imprenditori e professionisti. Il potere d’acquisto cumulato delle retribuzioni 2000/2010 è pari a -3384 euro a testa; la perdita cumulata con il fiscal drag è pari a -5453 euro a persona. Dati elaborati su numeri del Fondo Monetario Internazionale mettono nero su bianco un’evidenza incontestabile: su 180 Stati del mondo l’Italia è al 179° posto.

E, contrariamente a quanto ha dichiarato Berlusconi recentemente, sono proprio i lavoratori dipendenti ha subire maggior mente il colpo: il minore potere d’acquisto legato al aumento del costo della vita e della tassazione statale (qualcuno si ostina ancora a parlare di “meno tasse per tutti”) lasciano un segno negativo indelebile per le tasche delle famiglie. Per famiglie intendiamo di certo la stragrande maggioranza delle famiglie e non quel 10% (circa 2 milioni e 380mila) che possiede quasi il 45% dell’intera ricchezza del Paese con un badget patrimoniale di oltre 1 milione e mezzo di euro.

E così, basta davvero poco per non fare tornare i conti giusti: una lavatrice o lo scaldabagno che non funzionano più, un dente che fa male, un problema alla frizione dell’automobile e per molte famiglie sono guai seri.

Dal rapporto dell’Istat si legge: “Nel 2009, il 15,2 per cento delle famiglie ha presentato tre o più sintomi di disagio economico tra quelli previsti dall’indicatore sintetico definito dall’Eurostat. Questo valore non presenta variazioni statisticamente significative rispetto all’anno precedente e si conferma molto più elevato tra le famiglie con cinque componenti o più (25,8 per cento), residenti nel Mezzogiorno (25,1 per cento) e tra le famiglie con tre o più minori (27,1 per cento). Il quadro offerto dagli indicatori di deprivazione e di difficoltà economica si presenta sostanzialmente immutato rispetto all’anno precedente, quando era significativamente peggiorato rispetto al 2007 (anno in cui a soffrire di tre o più sintomi di disagio era stato il 14,8 per cento delle famiglie, contro il 15,8 per cento del 2008), anche se crescono le famiglie che non potrebbero far fronte a spese impreviste di 750 euro (dal 32,0 al 33,3 per cento in media), quelle che sono state in arretrato con debiti diversi dal mutuo (dal 10,5 al 14,0 per cento di quelle che hanno debiti) e quelle che si sono indebitate (dal 14,8 al 16,5 per cento).

Per queste ragioni il 2011 dovrà essere l’anno della riscossa, del risveglio e del cambio di rotta a partire da questo governo che ha fallito su tutti i fronti tranne su quello di consentire ai ricchi di diventarlo ancora di più!

“I dati elaborati dal Fondo Monetario Internazionale mettono, nero su bianco, un’evidenza incontestabile: su 180 Stati del mondo l’Italia è al 179° posto. Siamo di fatto ultimi, fatta eccezione per Haiti che è formalmente il centottantesimo Paese della lista per via del terremoto e delle sue ripercussioni economiche, sociali e umanitarie. Ultimi, dunque. Con una crescita, in dieci anni, del 2,43%. In sintesi non ci siamo mossi: fermi al 2000. Ben altre le performance dei Paesi del G8: Usa, UK e Francia in testa, rispettivamente con il 17, il 15 e il 12 per cento di crescita”. Così Enrico Letta, vice segretario del Pd.

“È prevedibile – ha continuato - che la presentazione di questi dati scateni in Italia, com’è avvenuto puntualmente negli anni scorsi, i soliti sterili dibattiti sul pessimismo o sul fatto che tutto sia correlato alla crisi economica globale. Così il nostro essere fermi al 2000 è un fatto non opinabile che, in quanto tale, non può essere oggetto di dibattito, distinguo o obiezioni. La crisi c’è stata per tutti. E non possono bastare, a sollevarci il morale, le argomentazioni edulcorate di chi tira in ballo le perfomance non buone di Giappone e Germania, le due grandi potenze industriali che, pur essendo anch’esse in fondo alla classifica, raggiungono dati di crescita, cumulata sul decennio, comunque tre volte superiori al nostro”.

“Il dato del «decennio perduto» si lega strettamente alla mission dell’Italia nel mondo e forse di queste considerazioni dovremo «riempire» il confronto pubblico che accompagna le celebrazioni per il centocinquantesimo anniversario dell’Unità di Italia, come il Presidente Napolitano ci invita autorevolmente a fare. Aprire una discussione del genere significa porre da una parte la questione delle riforme non fatte e, dall’altra, quella di una società vecchia e «senza fame». Entrambi i temi sembrano accomunarci al Giappone, l’altra grande economia malata del mondo occidentale. Occorrono riforme che incidano sulle sacche di inefficienza e di privilegio da cui il nostro sistema è ancora affetto”. 

Molto duro il giudizio del presidente dell’Assemblea nazionale del Pd,Rosy Bindi sulla distanza tra la situazione nazionale e le dichiarazioni del premier per la stampa. "Proprio mentre l'Istat certifica le drammatiche difficoltà vissute da moltissime famiglie italiane, il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi torna a raccontare la favoletta di un Paese che nel 2011 crescerà come se non ci fosse stata la crisi e parla, contro ogni evidenza, di un'Italia che non c'è, che starebbe meglio degli altri paesi europei, e di un governo che ha fatto tutto e risolto ogni problema. E se qualcosa è andato storto, come i rifiuti in Campania, è solo perché qualcuno ha tramato contro il governo. Sarebbe ora che Berlusconi prendesse atto del suo fallimento e dell'estrema esiguità della maggioranza che è rimasto a sostenerlo, come ogni giorno riconoscono apertamente anche i rappresentanti della Lega. Proprio per questo, gennaio sarà un mese decisivo per dimostrare in Parlamento la fragilità di una maggioranza che è ormai una pesante palla al piede per il Paese".

Per Antonio Lirosi, responsabile Consumatori del Pd “i dati resi pubblici dall’Istat confermano quale sia lo strumento con cui il governo Berlusconi si occupa delle difficoltà economiche delle famiglie: il più totale disinteresse. Le statistiche fornite dall’Istat attestano che l’esecutivo non ha offerto alcun riparo alle famiglie e le ha lasciate del tutto esposte agli effetti della tempesta economica che infuria da due anni a questa parte. Un peso sicuramente considerevole sui bilanci familiari ha avuto il mancato controllo, da parte del governo, delle dinamiche tariffarie di tutti quei servizi che famiglie e consumatori sono costrette a utilizzare: servizi postali, autostradali, ferroviari, idrici, raccolta rifiuti, rc-auto, carburanti hanno fatto registrare negli ultimi mesi incrementi ingiustificati dei prezzi anche di quattro-cinque volte superiori alla media dell’inflazione. Ciò dimostra che di tutto si è occupato il governo fuorché delle difficoltà di quei lavoratori, consumatori, pensionati, pendolari e automobilisti i cui redditi sono stati colpiti dalla crisi. Purtroppo tutto lascia pensare che, se il governo continuerà con il suo atteggiamento di irresponsabile disinteresse, le cose non potranno che peggiorare”. 

Dello stesso parere anche David Sassoli, capodelegazione del Pd nel Parlamento europeo. “Mentre governo e maggioranza continuano a dare di sé l’indecoroso spettacolo offerto nell’ultimo anno, arriva il bagno di realtà dei dati Istat sulle famiglie”. “Sono numeri agghiaccianti – continua Sassoli - che parlano di un Paese in enorme difficoltà, in cui a fare le spese di una politica sbagliata sono le famiglie con più figli. Un Paese ogni giorno più iniquo, in cui la ricchezza continua ad essere appannaggio di pochi e che, anziché investire sulle generazioni più giovani, le lascia sole, a carico delle famiglie e in balia di un precariato senza garanzie né protezione”. 

“Che fine hanno fatto le promesse sul quoziente familiare e sul sostegno alle famiglie? E’ una situazione inaccettabile che chiama in causa diretta il governo, che irresponsabilmente ha prima negato la crisi, poi ne ha decretato a tavolino la fine”.

“Un governo ogni giorno più debole e ripiegato su se stesso – conclude l’esponente del Pd - che non è quello che serve al Paese. Per questo l’appello del Pd a tutte le opposizioni, affinché si facciano carico della fuoriuscita dal tunnel del berlusconismo, diventa ancora più urgente e chiama in causa tutti coloro che hanno davvero a cuore il bene degli italiani”.
A puntare l’indice contro il ministro del Tesoro e le sue politiche è Cesare Damiano, capogruppo Pd in Commissione Lavoro della Camera. “I dati Istat rivelano il fallimento del governo e delle politiche economiche di Tremonti. Mentre l’economia peggiora e le tariffe dei servizi continuano incessantemente ad aumentare da mesi, il centrodestra è paralizzato, attento solo a questioni di potere interno. Aumentano le famiglie in difficoltà e ciò che è peggio è che le cose peggioreranno il prossimo anno quando i tagli di Tremonti, che colpiranno soprattutto gli enti locali, renderanno la situazione ancora più pesante per le famiglie. Questo è il vero pantano: un governo incapace di fare le riforme per il paese, attento solo ai fatti personali del premier e incurante dei problemi concreti degli italiani: quello del lavoro che non c’è, sopra tutto. E’ ora di cambiare, il fallimento è nei fatti e non solo nei risicati numeri di una asfittica maggioranza”.